La politica estera del regime fascista aveva, soprattutto dal 1925 in poi, un carattere duplice: da un lato si presentava come un elemento di stabilità dei rapporti internazionali, dall’altro come un elemento tendente alla rottura dell’equilibrio esistente.
Questa duplicità derivava sia dalla carica eversiva sul terreno internazionale, in contrasto con l’obiettivo di conservare l’ordine sociale esistente all’interno, sia dalla trasformazione della situazione generale del mondo a partire dalla fine degli anni ‘20 del secolo scorso. Aspetti caratteristici dell’ideologia fascista fin dalle origini infatti erano l’esasperazione nazionalistica e l’esaltazione della violenza e della guerra. Corollari ineliminabili di questo approccio ideologico erano l’odio per il socialismo e il disprezzo per la democrazia, il liberalismo, il pacifismo, l’umanitarismo in genere.
Vi sono alcuni aspetti essenziali che distinguono la politica estera e l’imperialismo fascista da quelli dei decenni precedenti. In primo luogo si deve porre l’esasperazione nazionalista, che derivò assai più che dal nazionalismo come partito, dallo stato d’animo di malcontento e di frustrazione, largamente diffuso nella media e nella piccola borghesia alla fine della guerra e nel dopoguerra, ossessionata dal mito della “vittoria mutilata”, diffuso dall’interventismo di destra, dalla propaganda governativa di Orlando e di Sonnino nel 1918-19, dal dannunzianesimo e dal fascismo stesso. L’espansione imperialistica divenne poi anche uno strumento di politica interna, che permise a Mussolini di mobilitare masse numerose in varie occasioni, ma specialmente al tempo della guerra d’Etiopia.
Si deve poi ricordare un altro carattere dell’imperialismo fascista, cioè il suo collegamento con la questione demografica. L’idea di conquistare colonie come sbocco dell’emigrazione era stata formulata già negli ultimi decenni dell’Ottocento ed era entrata a far parte dopo il 1900 della più complessa formulazione fatta dai nazionalisti delle nazioni proletarie contrapposte alle nazioni capitalistiche dominanti. Ma questo carattere assunse un aspetto più spiccato nel 1927, quando Mussolini dichiarò di essere contrario all’emigrazione (che del resto era ormai resa difficile dalle leggi restrittive degli Stati Uniti e dalla situazione economica di altri Paesi, come già si è detto) ed iniziò la campagna demografica proclamando che il “numero è forza”. Di qui nacque una ripresa del mito delle colonie di popolamento, che fu alla base del tentativo di colonizzazione agricola della Libia e poi della conquista dell’Etiopia.
Infine l’imperialismo fascista fu caratterizzato dall’idea di diffondere il fascismo in Europa mediante la formazione in altri paesi di partiti ed eventualmente di regimi affini al fascismo italiano. Questa tendenza, di cui si dovranno vedere in seguito gli aspetti principali, fu in parte il risultato, talvolta artificioso, della propaganda e delle sovvenzioni finanziarie del governo di Mussolini; ma in parte forse maggiore fu determinata da circostanze oggettive: in primo luogo dal rafforzamento di correnti conservatrici antiproletarie ed “antibolsceviche” e di correnti nazionalistiche, spesso concomitanti o fuse con le prime, che miravano a instaurare regimi analoghi a quello fascista italiano.
La situazione generale del mondo, prima della conquista giapponese della Manciuria e dell’avvento al potere in Germania di Adolf Hitler nel 1933, era rimasta sostanzialmente identica a quella stabilita dai trattati che posero fine alla prima guerra mondiale, coerentemente con la precaria stabilizzazione economica generale negli anni fra il 1924 e il ‘29.
La crisi finanziaria incombeva dalla fine della guerra ed era composta da tre elementi: innanzi tutto la difficile regolazione dei debiti di guerra che gli stati alleati avevano contratto con il Regno Unito, in primo luogo la Francia, e i debiti contratti dal Regno Unito con le istituzioni finanziarie pubbliche e private degli Stati Uniti. La regolazione di questi debiti era garantita dalle riparazioni che gli stati sconfitti avrebbero dovuto versare a quelli vincitori, in primo luogo la Germania, e la Germania aveva ottenuto prima vantaggiose dilazioni che comunque non riusciva a pagare con regolarità. Il terzo elemento di crisi era determinato dal rifiuto, da parte del governo dei commissari del popolo della Repubblica socialista russa di pagare il debito dell’impero zarista.
La crisi ormai matura divampò nel 1929 e spinse i governi imperialistici a creare una barriera autoritaria contro il rischio di contagio rivoluzionario, mentre si cerca di nuovo di aggredire l’Unione Sovietica.
È in questo quadro che matura l’indecisione di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti di fronte ai colpi di mano del Giappone e della Germania, che portano la Società delle Nazioni verso una crisi mortale.
L’occupazione giapponese della Manciuria si verifica dopo la sconfitta della Cina di Chang-Kai-Shek nella guerra con l’URSS. Da quel momento, fino al 1939, sarà il Giappone a confrontarsi con l’URSS, riportando sonore sconfitte. Le propensioni imperialistiche del fascismo, in questa situazione, così come le spinte revisionistiche, restavano velleitarie. Mussolini comunque riuscì ad ottenere qualche risultato che accrebbe il suo prestigio.
Dal 1925-26 in poi la politica estera italiana fu caratterizzata dalla tendenza a far leva sugli Stati e sui gruppi etnici che avevano motivi di malcontento per la sistemazione data all’Europa danubiana e balcanica dai trattati del 1919-20. Dal 1927 in poi la politica estera fascista agitò il tema del “revisionismo”, che trovò dapprima un’eco favorevole soprattutto in Ungheria; a questo tema si accompagnarono sia un’azione propagandistica volta a sostenere in vari paesi movimenti fascisti o fascistoidi di ispirazione conservatrice e nazionalistica, sia un’attività segreta che aiutò con armi e denaro alcuni di questi movimenti ed anche i gruppi miranti allo smembramento della Jugoslavia, come i “comitagi” macedoni e soprattutto gli “ustascia” croati.
L’avvento al potere del partito nazionalsocialista in Germania (gennaio 1933) provocò un iniziale ravvicinamento tra l’Italia e le potenze vincitrici della prima guerra mondiale. Il tentativo di annessione dell’Austria del 1934 da parte di Hitler provocò l’immediata risposta dell’Italia: Mussolini inviò quattro divisioni al confine italo-austriaco, pronte ad intervenire. Questa politica raggiunse il culmine con la conferenza di Stresa: nella cittadina piemontese si riunirono i rappresentanti dell’Italia, del Regno Unito e della Francia per sanzionare l’ennesima violazione dei trattati di pace da parte della Germania di Hitler, ma non si andò oltre dichiarazioni platoniche.
Constatata, alla Conferenza di Stresa, l’irresolutezza di Francia e Regno Unito a sanzionare i colpi di mano tedeschi, il governo italiano decise di procedere anch’esso con le aggressioni che, prima della seconda guerra mondiale, furono l’aggressione all’Etiopia prima (1935) e l’aggressione alla Spagna repubblicana poi (1936-1939).
In quegli anni Regno Unito e Francia avevano bisogno delle dittature fasciste per ristabilire l’ordine capitalistico nella Spagna rivoluzionaria.
Per quali ragioni l’Italia, guidata da Mussolini, si impegnò nell’impresa d’Etiopia coloniale tanto costosa sia rispetto alle forze del Paese, sia rispetto al valore economico e politico del territorio da conquistare. La guerra in realtà rispondeva ad esigenze interne, aveva come scopo il rafforzamento del blocco di potere che sosteneva il fascismo e che comprendeva il re, il Vaticano, i grandi gruppi industriali e finanziari, che furono i principali beneficiari delle commesse militari e delle speculazioni legate alla colonizzazione.
Nel 1934 il numero dei disoccupati e dei sottoccupati rimaneva molto alto e restavano in Italia vaste zone di arretratezza e miseria, prodotte dal modello italiano di sviluppo capitalistico e dall’alleanza tra il capitale finanziario del Nord e i latifondisti del Sud. Il fascismo era il garante di questo modello e di questi rapporti di classe. In questo senso una politica estera eversiva, come quella per la conquista del “posto al sole”, permetteva di continuare la politica conservatrice all’interno. Da questo punto di vista possiamo considerare l’aggressione all’Etiopia come paradigmatica dell’esigenza per i regimi totalitari di accompagnare la conservazione e la repressione all’interno con una politica di prestigio all’estero, una politica di potenza che non si ritragga di fronte alle avventure militari.
Le stesse ragioni sono alla base dell’aggressione fascista alla Spagna repubblicana, che inizia fin dagli ultimi giorni di luglio 1936, con il trasferimento sul territorio metropolitano dell’armata ribelle del Marocco spagnolo e prosegue con gli atti di pirateria compiuti dai sommergibili, i bombardamenti a tappeto su Barcellona e Madrid, l’invio di un corpo di spedizione di 60.000 uomini. L’avventura spagnola costò allo stato italiano non meno di 14 miliardi di lire dell’epoca. A queste possiamo aggiungere l’impegno nella zona mediterranea che l’Italia considerava sua zona d’influenza, la volontà del fascismo di combattere con le armi gli ideali del movimento operaio e la democrazia, accompagnata dalla volontà di evitare che la Spagna repubblicana vittoriosa divenisse un focolaio di antifascismo in Europa. Nonostante le dichiarazioni ufficiali, l’intervento fascista fu visto con favore dalle diplomazie occidentali perché tutelava i forti interessi economici inglesi in Spagna.
L’azione dell’Italia favorì e fu spinta dai colpi di mano tedeschi volti a scardinare i trattati di pace. In questo senso fu una delle forze che agirono per scatenare la guerra. A questo proposito è bene ricordare che, dopo dieci mesi di non belligeranza, il regno d’Italia aggredì la Francia (la “pugnalata alla schiena”), la Gran Bretagna, la Grecia, la Jugoslavia, l’Unione Sovietica, gli Stati Uniti, per citare solo i più importanti.
Oggi come ieri l’alleanza occidentale opera per stravolgere i meccanismi internazionali di sicurezza. Un esempio è dato dallo stato di Israele, che da più di cinquanta anni viola le risoluzioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Delegittimare le Nazioni Unite significa delegittimare le campagne portare avanti dalle sue agenzie e dalla stessa Organizzazione nel suo complesso, come la campagna contro la povertà o la campagna contro il riscaldamento globale. Campagne che, per quanto inefficaci, sollevano di fronte all’opinione pubblica mondiale problemi che le potenze imperialiste e i gruppi multinazionali vogliono tenere nascoste.
D’altra parte la Carta Atlantica, il documento siglato nel 1941 da F.D.Roosevelt e Wiston Churcill e alla base del Trattato dell’Atlantico del Nord, prevede il “libero accesso per tutti i popoli” alle fonti delle materie prime. Per questo libero accesso, cioè per il libero accesso delle multinazionali dei paesi imperialisti alle ricchezze dei paesi coloniali, i firmatari sono pronti ad impiegare la forza, cioè la violenza organizzata delle forze armate.
È questo l’arcano che spiega formulazioni come Mediterraneo allargato o difesa dei confini contro i migranti illegali; e se per controllare i flussi bisognerà andare in Niger, va da sé che un po’ dell’uranio che si trova in quel paese toccherà anche all’Italia.
Se c’è una differenza tra il fascismo storico e quello attuale, è che il primo ricorreva all’espansionismo imperialista per risolvere le tensioni di classe all’interno, il secondo crea un’emergenza all’interno, nella fattispecie l’emergenza migranti, per giustificare l’espansione imperialistica all’estero.
In un senso o nell’altro, il fascismo non solo è una minaccia per le condizioni delle classi sfruttate all’interno, ma è anche una minaccia per la pace del mondo. Possiamo quindi considerare il fascismo una forma di governo dell’età dell’imperialismo.
Tiziano Antonelli